Vi proponiamo l’appassionato racconto del nostro “ultramaratoneta” Stefano Baioni, grandi gambe ma anche bella penna (non a caso è insegnante di Lettere!), che ha voluto condividere con tutti gli amici avisini la sua terza esperienza alla 53 km della Tuscany Crossing in Val d’Orcia. Oltre al vivo ed emozionante racconto, è interessante conoscere la preparazione e la filosofia che risiede dietro una gara impegnativa come un “ultratrail”. Buona lettura!
Non c’è due senza tre, e allora un po’ per il detto un po’ per la bellezza del percorso, anche quest’anno ho corso l’ultratrail TuscanyCrossing 53 km della Val d’Orcia. Se essere un’altra volta tra i finisher è stato un grande piacere, lo è anche raccontarvelo di nuovo.
Quest’anno il numero degli iscritti è salito a circa 200, ma, complice il maltempo, alla partenza mancano circa una ventina di pettorali; il meteo d’altronde è stato l’elemento che ha reso diverso e più intenso l’impegno di quest’anno. Nei giorni scorsi le previsioni non lasciavano spazio a interpretazioni: pioggia e calo delle temperature su tutto il Nord e il centro Italia. Scartata l’idea di non partire o addirittura ritirarmi a metà, l’unica opzione è stata attrezzarmi per correre in sicurezza un percorso abbastanza impegnativo; ho portato con me praticamente gran parte del materiale estivo, di media stagione e invernale, più una giacca impermeabile da alpinismo e due zaini da trail di 10 e 15 litri di capienza, da scegliere in base alla quantità di materiali necessari alla partenza. Una gara quindi da interpretare sotto tanti aspetti. Alle cinque di mattina, quando mi sveglio, piove e il cielo è nero, la temperatura è di 8 gradi. Decido di partire con i pantaloni a 3/4, una maglia termica a maniche lunghe e una canotta sopra, poi, di mettere nello zaino, oltre a tutto il materiale obbligatorio (riserva di barrette, 1 litro di acqua, telo di sopravvivenza e fischietto), una maglia a maniche corte e la giacca in gore-tex. Mentre ci rechiamo con il pullman da Castiglione d’Orcia alla partenza di Montalcino piove a dirotto, ma nell’ora di attesa prima della partenza il cielo sembra aprirsi. Alle 8 e 20 c’è qualche sprazzo di sereno, tolgo la maglia termica e la metto nello zaino, indosso sotto la canotta quella a maniche corte e decido comunque di mettere la giacca in gore-tex nello zaino (scelta che mi obbliga a prendere quello più pesante); 700 grammi di peso in più non sono pochi su 53 km, ma una maglia bagnata peserebbe di più e non terrebbe tanto caldo! Per il resto indosso un cappello, scarpe A5 della Brooks e le solite racchette.
Alle 8 e 45 non c’è più tempo per ripensamenti, si va; chi parte leggero se piovesse avrebbe il suo da fare, chi parte prevenuto, come me, se non piovesse si porterebbe peso e scomodità inutili, ma credo sempre che in queste situazioni ognuno deve scegliere da solo e dare priorità al suo obiettivo: il mio, prima di tutto, è quello di godermi in sicurezza una ultratrail e di concluderla anche se piovesse tutto il giorno, perciò mi porto ciò che penso sia necessario; per il resto, se riuscissi a migliorare il risultato dell’anno scorso sarebbe meglio!
Come sempre parto molto lento, il cielo si apre ancora di più ma la temperatura è bassa. Per fortuna non perdo molti liquidi, il primo ristoro è al km 13 e ho deciso di compensare il peso della giacca partendo praticamente senza acqua; quando arrivo ne metto meno di mezzo litro nella “camelia” e riempio la borraccetta da 250ml, faccio uno spuntino e riparto subito. La prima salita vera è lunga 7 km, ci arrivo con una strana sensazione, non sono affaticato ma sento le gambe un po’ legnose, comunque mantengo il ritmo e per la mezza maratona virtuale impiego 2 ore e 11 minuti. Al 24° km c’è il secondo ristoro. Qui mi fermo un paio di minuti, mi idrato bene, mangio carboidrati e zuccheri. Quando riparto sento le gambe veramente legnose e perdipiù adesso è chiaro che non pioverà; due fattori che mi fanno innervosire un po’; passi pure portarsi dietro materiale inutile, ma la probabilità di avere esagerato con l’allenamento e non aver recuperato sarebbe un problema maggiore, e se così fosse non dovrei forzare oltre, ma continuare con ritmo e costanza. Si arriva infatti al terzo ristoro attraversando i punti più duri della gara, sia in discesa che in salita c’è da faticare. Per fortuna, quando inizia il duro strappo di circa tre km che porta al paese di Vivo d’Orcia mi affianca un atleta più forte di me, approfitto della compagnia e tiriamo la salita insieme, ora le gambe sembrano essersi un po’ sciolte e la salita in realtà la stratiriamo, saliamo una inclinazione media del 20% a sei-sette km/h. Fino a qui, però, ho recuperato poche persone e non ho una chiara idea della mia posizione, so solo che mancano altri 7/8 km di salita complessiva per poi affrontare gran parte degli ultimi dieci in discesa o in pianura. Al terzo ristoro me la prendo calma, le gambe sono più sciolte, sono salito forte ma non devo forzare più di quello che non serve, se mi rimane qualcosa penso che sia meglio sfruttarlo nei chilometri finali. Il primo e il secondo anno infatti ho fatto gran parte di quegli ultimi km finali corricchiando più che correndo, perdendo così minuti in una frazione dove deve essere più facile guadagnarli. Allora mi riposo letteralmente, mi siedo, bevo, mangio e soprattutto cambio la maglietta a maniche corte e metto la maglia termica asciutta perché ora si deve salire a quota 1200 metri, dopo 37 km di corsa e 1600 m di dislivello; in più, anche se si capisce che non arriverà il temporale, ora pioviggina di tanto in tanto e fa freddo. Quando riparto mi sento davvero ristorato, stanco ma con la sensazione di avere tutta la benzina che serve per arrivare alla fine; questo mi solleva e rafforza ancora di più l’idea che devo salire cercando di spendere il meno possibile fino alla quota massima e dopo sfruttare tutto fino all’arrivo. Così faccio e al passaggio della maratona virtuale sono passate 5 ore e un minuto, qualcosa in più degli anni precedenti ma le gambe girano come devono. Corro, corro perché ora il Gps si è spento e nell’incertezza meglio dare tutto, corro fino all’ultimo ristoro dove bevo un po’ di tè, mangio al volo una mezza banana e continuo a correre recuperando cinque/sei posizioni. Corro fino a sotto la rocca di Castilone d’Orcia quando mancano gli ultimi due km di una salita verticale che taglia fiato e gambe, recupero altre due posizioni a 200 metri dal traguardo e dopo 6h e 12m conquisto, 29° assoluto, la rocca per la terza volta, migliorando di quattro minuti il tempo dell’anno scorso e di ventotto quello della mia prima partecipazione. Se fossi partito più leggero sicuramente avrei guadagnato altri minuti, ma è andata bene anche così, concludere una ultratrail è già di per sé un buon risultato e migliorarsi, anche se di 4 minuti, è una bella soddisfazione.
Ogni gara, ogni corsa nasconde dietro la sua “filosofia”, mi sono approcciato pian piano a queste gare mescolando il gusto della corsa con il piacere dell’escursionismo e, come detto, per me, in questo tipo di gare, il primo obiettivo è divertirmi, senza azzardare niente, senza sfidare classifiche o tempi. Per preparare al meglio questa “ultra” è bastato semplicemente correre, in gara e in strada insieme a voi per fare un po’ di fiato, o “più intimamente” sui sentieri del nostro meraviglioso Appennino per fare un po’ di gamba e sentire “quell’insano” piacere di macinare chilometri di corsa immerso nella natura.
Stefano Baioni